domenica 19 aprile 2015

Ma chi l’ha detto che i soci vogliono il fallimento?


In questi giorni in cui il giudice deve decidere se ammettere o meno il piano concordatario di Coopca, dalla lettura dei giornali sembra che si stiano delineando due schieramenti contrapposti: da un lato il Consiglio di Amministrazione di Coopca e i sindacati che spingono per l’ammissione al concordato, dall’altro lato la Procura della Repubblica e i soci che preferirebbero il fallimento. 
In realtà, non si ha notizia di nessun pronunciamento né da parte del comitato, né da parte di gruppi di soci, che si siano effettivamente espressi in favore del fallimento. Addirittura, nell’assemblea dei soci del 12/04/2015, l’avvocato Zilli che ha illustrato il piano di concordato, non solo non ha espresso nessuna preferenza per il fallimento, ma sì è persino rifiutato di formulare alcun giudizio sulla bontà del piano di concordato.

Per quale motivo allora si è diffusa l’informazione per cui i soci sarebbero contrari al concordato? Forse perché il concordato non prende nessun impegno concreto nei confronti dei soci prestatori se non quello di distribuire loro in tre anni il 67% di una cifra aleatoria che dovrebbe residuare dal soddisfacimento dei creditori privilegiati? Forse perché ad oggi questa cifra aleatoria è pari a zero in quanto le offerte pervenute non sono sufficienti nemmeno a soddisfare i privilegiati? Forse perché le offerte pervenute sono solo parzialmente vincolanti e le ipotesi di realizzo del piano sono principalmente basate su stime peritali? Forse perché ogni mese di operatività di Coopca si traduce in centinaia di migliaia di euro di perdite che andranno a ridurre il già esiguo attivo realizzabile? Forse perché l’avvocato Campeis è stato costretto a depositare copiose memorie per confutare le tesi della Procura che indicavano nel fallimento l’unica strada percorribile? 

Ebbene, nonostante tutte queste buone ragioni per dubitare del piano concordatario presentato, ad oggi non risulta che alcun socio abbia ufficialmente dichiarato di preferire il fallimento al concordato. Semplicemente i soci pretendono che sia loro sottoposto un piano di concordato credibile dal punto di vista legale e finanziario, su cui abbia senso esprimere un voto favorevole o contrario e non invece una vuota promessa che “le cose finiranno nel migliore dei modi”, che ricorda molto da vicino le dichiarazioni nelle assemblee sociali in cui gli amministratori garantivano che “il prossimo anno faremo meglio” e quelle revisioni in cui i revisori certificavano che “gli amministratori hanno dichiarato che il prossimo anno faranno meglio”. Purtroppo non c'è più spazio per queste dichiarazioni, e i soci hanno il ragionevole dubbio che tra tre anni il concordato possa concludersi senza che loro vedano un euro.

Per questo motivo i soci, ahimè tardivamente, stanno cercando semplicemente di riprendere quel ruolo attivo che, negli ultimi anni è mancato per diversi motivi, tra cui anche un'assoluta fiducia in un’istituzione che aveva fatto la storia del territorio, negli uomini che la rappresentavano e negli enti che avrebbero dovuto sorvegliarne l’operato. Ebbene, questa fiducia non esiste più, né nei confronti degli amministratori, né nei confronti dei vari revisori e delle varie istituzioni che, a diversi livelli avrebbero dovuto garantire la sicurezza dei loro risparmi. Oggi i soci esigono quella chiarezza che per troppi anni è stata loro negata.

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