Con la richiesta di concordato in
bianco presentata da Coopca il 17 novembre 2014, circa 3000 risparmiatori che
hanno lì depositati 30 milioni di euro di risparmi, si trovano improvvisamente
di fronte alla tremenda realtà per cui i loro risparmi sono, nella migliore
delle ipotesi, bloccati ed inutilizzabili. Inebetiti dalla notizia, e senza nessuno
straccio di comunicazione ufficiale da parte della società di cui loro sono
“proprietari”, cominciano a cercare di muoversi e di capire cosa è successo.
Sui giornali cominciano ad
apparire le prime analisi di bilancio della società da cui emerge che le cose
non andavano proprio così bene: i bilanci degli ultimi anni erano bruttini, ma
lo erano solo grazie a determinate scelte contabili, senza le quali sarebbero
stati addirittura bruttissimi. Poi cominciano a spargersi le voci di corridoio secondo
le quali negli ultimi mesi, vista la mala parata, gli amministratori e i
dirigenti si sarebbero affrettati a prelevare i loro risparmi, forse
accelerando così il tracollo e lasciando nei guai gli altri risparmiatori, che
non avevano accesso a queste informazioni privilegiate. Infine va in scena
l’allegra pantomima dell’io-non-c’ero, se-c’ero-dormivo,
se-non-dormivo-comunque-non-potevo-farci-niente. Amministratori, revisori, amministrazione
regionale, associazioni cooperative, tutti si affrettano a spiegare che non è
colpa loro.
E ai risparmiatori, privati dei soldi
che avevano parsimoniosamente risparmiato, non resta che attendere di vedere
cosa gli riserverà il futuro, mentre diverse domande sembrano destinate a
rimanere senza risposta.
In primo luogo, come mai se la
società è mia ed il primo a rimetterci sono io, tuttavia non ho voce in
capitolo in questa situazione?
Come mai i bilanci regolarmente in
perdita venivano approvati sempre all’unanimità dall’assemblea dei soci? Nessun
socio sollevava domande, obiezioni, contestazioni? Su circa 10.000 soci, a
nessuno veniva in mente di obiettare che forse bisognava prendere provvedimenti
perché chiudere costantemente in perdita avrebbe potuto portare qualche
problemino?
O forse l’approvazione del
bilancio era l’ultimo dei problemi dell’assemblea dei soci, che era piuttosto
l’occasione in cui gli amministratori e i soci a loro più vicini si ritrovavano
per auto-incensarsi ed andare tutti assieme a fare una gran mangiata?
E dove è finita la rete di
controlli che avrebbe dovuto garantire la sicurezza del prestito sociale?
Infatti poiché le coop non hanno licenza bancaria e i presiti sociali non sono
garantiti dallo Stato, la legge prevede un sistema di sorveglianza sulle
attività e sui bilanci delle coop che in generale fa capo al Ministero
dell’Economia ma, nel caso della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia è posto
in carico all’Amministrazione Regionale e si esplica attraverso la revisione
legale del bilancio e la sorveglianza annuale da parte dell’associazione delle
cooperative. A ciò si aggiunge il ruolo di controllo che in ogni società ha il
collegio sindacale e la società di revisione e certificazione del bilancio.
Possibile che a nessuno di questi esperti fosse venuto in mente che una
gestione ampiamente e costantemente in perdita avrebbe potuto inficiare la
sicurezza del prestito sociale?
E infine, in generale, quanto è sicuro effettivamente
il prestito sociale delle cooperative, visto che i soci sostanzialmente non
hanno voce in capitolo ed il sistema dei controlli lascia molto a desiderare?
Possiamo essere tranquilli sul fatto che quello che è successo a Cooperativa
Operaie ad ottobre e a Coopca a novembre, non si ripeterà, con un tragico
effetto domino, presso altre cooperative di consumo nel resto dell’Italia?