martedì 13 gennaio 2015

Dopo lo choc, alcune domande

Con la richiesta di concordato in bianco presentata da Coopca il 17 novembre 2014, circa 3000 risparmiatori che hanno lì depositati 30 milioni di euro di risparmi, si trovano improvvisamente di fronte alla tremenda realtà per cui i loro risparmi sono, nella migliore delle ipotesi, bloccati ed inutilizzabili. Inebetiti dalla notizia, e senza nessuno straccio di comunicazione ufficiale da parte della società di cui loro sono “proprietari”, cominciano a cercare di muoversi e di capire cosa è successo.

Sui giornali cominciano ad apparire le prime analisi di bilancio della società da cui emerge che le cose non andavano proprio così bene: i bilanci degli ultimi anni erano bruttini, ma lo erano solo grazie a determinate scelte contabili, senza le quali sarebbero stati addirittura bruttissimi. Poi cominciano a spargersi le voci di corridoio secondo le quali negli ultimi mesi, vista la mala parata, gli amministratori e i dirigenti si sarebbero affrettati a prelevare i loro risparmi, forse accelerando così il tracollo e lasciando nei guai gli altri risparmiatori, che non avevano accesso a queste informazioni privilegiate. Infine va in scena l’allegra pantomima dell’io-non-c’ero, se-c’ero-dormivo, se-non-dormivo-comunque-non-potevo-farci-niente. Amministratori, revisori, amministrazione regionale, associazioni cooperative, tutti si affrettano a spiegare che non è colpa loro.
E ai risparmiatori, privati dei soldi che avevano parsimoniosamente risparmiato, non resta che attendere di vedere cosa gli riserverà il futuro, mentre diverse domande sembrano destinate a rimanere senza risposta.

In primo luogo, come mai se la società è mia ed il primo a rimetterci sono io, tuttavia non ho voce in capitolo in questa situazione?
Come mai i bilanci regolarmente in perdita venivano approvati sempre all’unanimità dall’assemblea dei soci? Nessun socio sollevava domande, obiezioni, contestazioni? Su circa 10.000 soci, a nessuno veniva in mente di obiettare che forse bisognava prendere provvedimenti perché chiudere costantemente in perdita avrebbe potuto portare qualche problemino?
O forse l’approvazione del bilancio era l’ultimo dei problemi dell’assemblea dei soci, che era piuttosto l’occasione in cui gli amministratori e i soci a loro più vicini si ritrovavano per auto-incensarsi ed andare tutti assieme a fare una gran mangiata?

E dove è finita la rete di controlli che avrebbe dovuto garantire la sicurezza del prestito sociale? Infatti poiché le coop non hanno licenza bancaria e i presiti sociali non sono garantiti dallo Stato, la legge prevede un sistema di sorveglianza sulle attività e sui bilanci delle coop che in generale fa capo al Ministero dell’Economia ma, nel caso della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia è posto in carico all’Amministrazione Regionale e si esplica attraverso la revisione legale del bilancio e la sorveglianza annuale da parte dell’associazione delle cooperative. A ciò si aggiunge il ruolo di controllo che in ogni società ha il collegio sindacale e la società di revisione e certificazione del bilancio. Possibile che a nessuno di questi esperti fosse venuto in mente che una gestione ampiamente e costantemente in perdita avrebbe potuto inficiare la sicurezza del prestito sociale?

E infine, in generale, quanto è sicuro effettivamente il prestito sociale delle cooperative, visto che i soci sostanzialmente non hanno voce in capitolo ed il sistema dei controlli lascia molto a desiderare? Possiamo essere tranquilli sul fatto che quello che è successo a Cooperativa Operaie ad ottobre e a Coopca a novembre, non si ripeterà, con un tragico effetto domino, presso altre cooperative di consumo nel resto dell’Italia?

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